Darshano Luggi Rieser - 1 -

2022-05-14 20:48:36 By : Mr. Han Xiaoguang

Darshano Luggi Rieser, un alpinista col frac di Walter Polidori (pubblicato su Lo zaino n. 15, autunno 2021, scaricabile da qui)

Qualche anno fa ho contattato via mail Darshano. Stavo scrivendo la mia guida alpinistica sulla Valle del Sarca (Sarca verticale, NdR) e volevo un suo racconto riguardo la via Zylynder Weg a Cima alle Coste. È l’unica via, aperta da Darshano, che io abbia mai percorso. Prima di allora, a causa della mia ignoranza, non conoscevo il suo prestigioso nome. In realtà, Zylinder Weg non è che una via di secondo piano rispetto alle altre vie che Darshano ha aperto nella sua carriera alpinistica. Sarà anche secondaria, ma di questa via ho scritto: “[…] c’è un episodio che più di tutti risveglia in me una paura breve ma intensa, che mi è entrata nella testa. Stavo arrampicando su una via classica, sul tiro più difficile, il tiro “chiave” come si dice in gergo. Chi ha salito per primo quella placconata di roccia compatta ha disegnato un capolavoro, dal nome Zylinder Weg, sul cosiddetto “Scudo” di Cima alle Coste, una placconata liscia che fa pensare a una colata di cemento uniforme e compatta. La via è impegnativa, è stata aperta cercandone i punti deboli senza fare uso di fix o chiodi a pressione, cioè evitando di forare la roccia e usando solo quello che offre in maniera naturale. Quel tratto è particolarmente impegnativo, e caratterizza fortemente la salita. Senza troppi dubbi Darshano Luggi Rieser, un fortissimo alpinista degli anni Ottanta-Novanta, quando si era trovato davanti quella placca era salito dritto, mentre l’amico Hannes l’aveva evitata aprendo la variante Think Pink. È una placca improteggibile e Darshano era salito senza farsi domande, forte della sua sicurezza e vestito come al solito con un frac color oro.

Ora stava toccando a me salire quel difficile tratto, facilitato dal fatto che nel tempo erano stati aggiunti degli spit e qualche chiodo a pressione. Ben pochi a dire la verità, che permettono giusto di non farsi troppo male in caso di caduta. Superati quei piccoli ancoraggi fissati alla roccia, ormai qualche metro sopra gli ultimi due chiodi a pressione, stavo affrontando una zona verticale, puntando a un cordone fissato a un chiodo. Con calma avevo affrontato il muro, molto delicato e da interpretare. Salivo, ma pensavo anche che non sarei dovuto cadere; i chiodi a pressione avrebbero tenuto, o sarebbero usciti? Stavo tenendo con le dita un minuscolo grumetto di roccia, quando all’improvviso questo si era rotto e stavo per cadere. Ero rimasto in equilibrio, solo grazie ad un altro minuscolo appiglio che stavo tenendo con l’altra mano. […]”.

Dopo aver salito quella via, e poi leggendo le storie trovate nel web e successivamente quelle mandatemi personalmente da Darshano, ho capito che si tratta di una leggenda vivente, un mito per chi ama l’arrampicata etica e pura, una persona di indubbio valore.

Viene chiamato Farmacista, Iconoclasta, Mistico. Ludwig Luggi Rieser (alias Darshano) è nato il 17 maggio 1956 a Zell im Zillertal (Austria). Ha frequentato la scuola commerciale e farmaceutica e si è diplomato con il massimo dei voti, a tempo di record. Ha superato con lode l’esame di farmacia e commercio all’ingrosso di prodotti farmaceutici. In seguito, ha rilevato la farmacia di Mayrhofen, e suo cugino la farmacia di Linz. Darshano ha continuamente ampliato la società di recente creazione Rieser & Malzer, con diverse filiali tessili, farmacie, con negozi di alimenti naturali, profumerie, saloni di bellezza, solarium, un’organizzazione di marketing di eventi e vendita farmaceutica all’ingrosso di erbe da banco e specialità medicinali, con filiali in Austria, Germania, Svizzera e Olanda. È stato il primo a fondare una GmbH a organico non gerarchico, con coinvolgimento dei dipendenti in azienda, a ricevere un premio statale per la compatibilità tra lavoro e famiglia, arrivando ad essere “quasi troppo in anticipo sui tempi”. Il padre lavorava come direttore postale, ed è stato presidente della sezione Alpine Club Zillertal per quasi 30 anni. Egli portava i bambini in montagna, almeno fino a quando “Luggi” non aveva cominciato a considerare poco soddisfacente l’escursionismo. Con gli amici, aveva scoperto la bellezza di frequentare la montagna con gite scialpinistiche e successivamente aveva cercato una attività egualmente “cool” per i mesi estivi. Aveva trovato così l’arrampicata, grazie alle tante pareti a portata di mano. Nel giro di pochi anni alcuni di questi giovani, per lo più autodidatti, diventarono dei grandi scalatori alpinisti. “Eravamo pazzi“, dice Darshano. “Non avevamo bisogno di assicurarci più di quanto pensassimo necessario. E per noi non c’era grande necessità. Allo stesso tempo, l’approccio alla montagna era molto più rilassato all’epoca, più giocoso“.

Nella sua casa di Brandberg, Luggi conserva sugli scaffali i ricordi di decenni: diapositive ordinate per anni e aree, album fotografici, scritti a mano. Un “tesoro”, come dice Darshano, un archivio alpinistico personale in cui può consultare nel dettaglio il materiale delle tante prime salite, mentre, come dice lui: “molti altri alpinisti che non hanno scritto subito le loro avventure, devono fare affidamento solo sulla mera memoria mentale, che può diventare molto ingannevole nel tempo, nel corso dei decenni“.

Darshano è noto per le sue grandi capacità di arrampicata, ma anche per gli abiti indossati durante le salite, a volte insoliti. Spesso arrampicava con un frac giallo e un cappello a cilindro.

Ha effettuato più di 300 prime ascensioni, dalla metà degli anni ’70. Con l’ampliamento ufficiale della scala UIAA verso l’alto, Darshano è stato tra i primi ad aprire itinerari con difficoltà dal VII grado in su, senza trapano. Tutte le sue aperture sono state concepite con un approccio altamente etico all’arrampicata: apertura sempre dal basso, senza spit o chiodi a pressione, senza uso di cliff per progressione o resting, con arrampicata libera pura, fino al livello di difficoltà X- (8a+ se riferito alla scala francese, anche se questo è un metodo di valutazione non idoneo, perché non si tratta di itinerari sportivi). Alcuni di questi itinerari sono ormai diventati classici popolari, mentre altri sono tuttora veri e propri banchi di prova per difficoltà e audacia. Nelle moderne guide di arrampicata, le sue vie sono sempre descritte con frasi del tipo: “arrampicata molto seria”, “non sempre facile da proteggere”, “finora solo poche ripetizioni”. Molti di esse sono di importanza storica.

Di seguito l’elenco delle sue tre vie più significative, vere e proprie opere d’arte del verticale:

• Mephisto, Sass dla Crusc, 1979 – Darshano-Reinhard Schiestl.

È il nome del suo primo capolavoro, la prima salita di grado VIII- aperta senza trapano, quando era poco più che ventenne.

• Odyssée, Wilder Kaiser, 1984 – Darshano-Wolfgang Müller.

Terrificante scalata nel Wilder Kaiser, prima via di grado IX- aperta senza trapano.

• Step across the border – Senkrecht ins Tao, Marmolada, 1995 – Darshano-Ingo Knapp, con aiuto di Hp. Jesus Schrattenthaler.

È la prima salita di grado X- aperta senza trapano. Il grande alpinista Hansjörg Auer, dopo una ripetizione quasi totale della via, l’ha definita come il limite di ciò che è fattibile su calcare, senza uso di spit.

Darshano sottolinea che non ha mai portato con sé degli spit in apertura. Ha fatto moltissime prime ascensioni e non ha mai avuto uno spit con sé! Neanche uno.

“La mia assicurazione si chiamava sempre e ancora oggi: intuito. Ovviamente ci vuole anche fortuna, ma se mi fossi fidato solo della fortuna, oggi non sarei ancora vivo. Oramai ho compiuto 65 anni e nei miei 47 anni di arrampicata non mi sono mai fatto male. Questo non è solo fortuna o caso.

Oggi non faccio più delle prime ascensioni molto difficili e tuttavia mi è rimasta sempre la gioia di muovermi creativamente sulla roccia. Poco tempo fa, fra i due lockdown di Coronavirus, sono riuscito a fare, assieme al mio amico Tschak, la prima ascensione di un pilastro di granito nelle Alpi dello Zillertal. La via di VII- non è molto difficile, ma ha 740 m di lunghezza e presenta solo 7 chiodi normali (nessun chiodo a pressione). Abbiamo vissuto sette ore di pura gioia d’arrampicata. Ancora oggi per me è più importante il come piuttosto che il se“.

Le vie di Darshano incarnano l’idea dell’arrampicata nella sua forma più pura: un gioco piuttosto che un combattimento, in contrapposizione con alcuni degli scalatori professionisti di oggi, che spesso trasferiscono l’arrampicata sportiva moderna con gli spit sulle alte pareti. A differenza di questi, per Darshano free climbing è un’avventura senza compromessi. Il suo stile esprime una ribellione all’arrampicata basata sui mezzi tecnici, quelli che ricorrono alla perforazione della roccia e alla progressione in artificiale. Già alla fine degli anni ’70 è stato pioniere del movimento moderno del free climbing. A causa dell’approccio innovativo e nuovo all’arrampicata alpina, veloce e contrapposto a quello degli “eroi delle pareti nord”, il gruppo legato a Heinz Mariacher e Darshano Luggi Rieser è stato anche chiamato “Vertical Beatles”: Darshano come Paul McCartney, Heinz Mariacher come John Lennon, Luisa lovane come Yoko Ono, Reinhard Schiestl come Ringo Starr e Peter Brandstätter come George Harrison.

Rieser è poi andato in India, dove ha scoperto e sperimentato una nuova spiritualità. Lì ha studiato gli insegnamenti di Bhagwan Shree Rajneesh, un mistico e maestro spirituale indiano, meglio conosciuto come Osho, in seguito ai quali ha preso il suo nome spirituale Swami Prem Darshano. Si fa chiamare ancora oggi Darshano, o Dao abbreviato (nome preso in prestito dal sanscrito); in passato usava spesso il nome Luggi al posto di quello reale Ludwig. Per capire lo stile disinvolto e spensierato dei “Vertical Beatles”, ecco un piccolo aneddoto raccontato da Darshano: «Durante una prima salita sul Sass dla Crusc, Heinz Mariacher, Luisa lovane e Darshano avevano raggiunto un pulpito di roccia. Da qui sembrava impossibile salire più in alto, ma una stretta cengia conduceva orizzontalmente, dietro l’angolo, in direzione del Diedro Mayerl, dove una cordata stava salendo. Così Darshano, che ha sempre la battuta pronta, ebbe un’idea divertente: mentre Heinz rotolava uno spinello, Darshano e Luisa avevano camminato senza protezione lungo la cengia, sempre più stretta, senza imbracatura e corda, fingendosi escursionisti e, con le mani in tasca, avevano chiesto ai due alpinisti inorriditi: “Scusate, si va di qui? È questo il sentiero per la vetta del Sass dla Crusc?” A quel punto i due alpinisti impallidirono come un sudario e uno di loro gridò con una voce isterica: “Ehi, ragazzi, siete pazzi? Siete nel bel mezzo della parete ovest!!!”».

Darshano è diventato famoso non solo per le sue numerose e ardite prime ascensioni, ma anche per le salite estremamente veloci di alte e difficili pareti alpine, alcune delle quali effettuate in libera sia in salita che in discesa. È anche noto per i suoi nervi eccezionalmente saldi (runout fino a 50 m con difficoltà di VI, fino a 10 m con difficoltà di VIII, già all’inizio degli anni ’80). Interessante anche la sua creatività nel dare nomi particolari alle vie aperte da lui, come Schwalbenschwanz (Coda di rondine), Sinfonie in Rot (Sinfonia in rosso), Mythomania, Gold Rush (Corsa all’oro), Senkrecht ins Tao, ecc.), in un momento in cui la maggior parte delle vie erano ancora chiamate “Direct East Face” o “West Face Dihedral”, “South Pillar” o “New North Face”, anticipando ciò che sarebbe diventato normale negli anni a venire. Non c’è da stupirsi che i suoi partner per le aperture fossero gli alpinisti di punta di quel momento: Heinz Mariacher, Reinhard Schiestl, Peter Brandstätter, Heinz Zak, Hannes Schmalzl, Peter Schäffler, Andi Orgler, Paul Koller, Wolfgang Müller, Gerhard Hörhager, Peter Habeler e Reinhold Messner, Ingo Knapp, e il grande amico Hanspeter “Jesus” Schrattenthaler, con cui arrampica da 25 anni. Ultimamente Darshano si sta dedicando principalmente alle pareti delle Alpi della Zillertal, dove, con gli amici, sta aprendo nuove vie, sempre senza spit. Dal punto di vista “plaisir”, Darshano più di 10 anni fa ha stabilito il termine “QuickTrad”: con i suoi amici ha aperto parecchie nuove vie sulla compatta e verticale Spiegelwand, un muro di granito che si trova sopra il lago artificiale dello Schlegeis, di cui circa la metà è stata lasciata attrezzata con chiodi (no spit). Su quelle vie è possibile imparare a posizionare protezioni veloci solo per divertimento o pratica, senza mettere in pericolo la propria vita. Darshano ha avuto molto successo anche con il deltaplano. Tra il 1976 e il 1982 ha detenuto numerosi record nel volo cross-country, nel guadagno di quota, nel volo di resistenza e nelle acrobazie di volo. Come dice Darshano, “tra tutte queste azioni, come scalatore, uomo d’affari, deltaplanista e rubacuori, non si sa come, ho trovato il tempo per fare balletto-jazz e tip-tap-dance (anche esibendomi in spettacoli notturni), comporre e fare musica (in una band rock-folk chiamata “Hoalach Sexä”), dipingere e scrivere poesie (testi, storie e aneddoti) e infine immergermi totalmente nella spiritualità, meditare, realizzare il passaggio, fondare una Scuola dei Misteri e, ultimo ma non meno importante, avere quattro figli favolosi e una amata compagna calorosa, intelligente e meravigliosa“. È un personaggio decisamente poliedrico.

Manifesto Free Climbing, l’assassinio della verità di Darshano Luggi Rieser (pubblicato l’8 gennaio 2008)

Cominciamo con il Big Bang: alcuni decenni fa divenne di moda inserire le “scale a pioli” nelle pareti, a furia di piantare chiodi, perché le salite artificiali erano diventate la “massima espressione” dell’alpinismo. Le ripetizioni delle vie erano interessanti solo se avevano almeno uno o due passaggi di arrampicata artificiale da offrire, in modo che la valutazione delle difficoltà, accanto al “VI+” obbligatorio, avesse anche un “A2” o anche un “A3”. La strada sbagliata dell’evoluzione era ancora difficile da riconoscere, soprattutto per le persone coinvolte che, nella frenesia della conquista, dovevano credere che “il successo dà ragione”. Ma più tardi, quando i primi alpinisti dell’epoca iniziarono a utilizzare gli spit a espansione per raggiungere i loro obiettivi, il vicolo cieco avrebbe dovuto essere riconosciuto. Sono state invece scalate in questo modo intere pareti senza fessure. Muri, strapiombi, persino tetti giganti, che a quel tempo erano troppo difficili da scalare in libera per quella generazione, furono addomesticati. Fu solo quando Reinhold Messner entrò in scena e denunciò pubblicamente e con veemenza lo sviluppo dell’arrampicata artificiale, che “l’assassinio dell’impossibile” divenne una frase popolare. lo e i miei compagni e amici di arrampicata di lunga data Reinhard Schiestl, Heinz Mariacher, Luisa Jovane, poi Wolfgang Müller, Paul Koller, Ingo Knapp e Gerhard Hörhager e ora da molto tempo Hanspeter Jesus Schrattenthaler, abbiamo iniziato ad arrampicare solo alla fine del periodo “artificiale” e per noi, delle vecchie salite, solo le tipiche vie di free climbing erano davvero interessanti. Abbiamo ripetuto le classiche, ma in realtà solo per acquisire esperienza alpinistica ed esplorare nuove dimensioni dei tempi di ascesa. In poche ore abbiamo scalato pareti alte 700-1000 m, che fino ad allora erano state spesso affrontate solo con uno o più bivacchi. A volte siamo saliti e anche scesi. Le nostre vere sfide, tuttavia, sono state le ripetizioni di vie di specialisti del free climbing, come Vinatzer, Rebitsch, Cozzolino, Messner, ecc., per poi passare al nostro impulso creativo in termini di aperture. Come giovane generazione di alpinisti, siamo stati in grado di dare un contributo significativo al fatto che la conquista dell’alpinismo abbia lasciato il posto a una forma più giocosa ed estetica nell’esecuzione di vie nuove, che denominazioni come “Direct North Face” e simili abbiano lasciato il posto a nomi creativi delle vie (Glasperlenspiel, Niagara, Hatschi Bratschi, Morgenlandfahrt, Mythomania, Odysee, Schwalbenschwanz, ecc.) e che la nostra filosofia di free climbing finalmente abbia disapprovato l’arrampicata con cliff e staffe.

Nel frattempo, il movimento dell’arrampicata sportiva si è sviluppato in parallelo. Ha sostituito il chiodo a espansione con lo spit e poi anche con i fittoni resinati, e ha stabilito regole rigide che affermano che gli spit non sono destinati alla progressione, ma solo alla sicurezza. La forza psicologica dei primi alpinisti, ancora richiesta in ambito alpinistico, si è ridotta, nelle zone di arrampicata sportiva, a pura difficoltà tecnica di arrampicata libera, con vie prevalentemente monotiro. Abbiamo utilizzato queste nuove possibilità per la nostra preparazione, per aumentare le prestazioni. Allenati in questo modo, abbiamo effettuato negli ultimi anni circa 350 prime ascensioni di VI, VII, VIII, IX, (il nostro capolavoro sulla parete sud della Marmolada Steps across the border – Senkrecht ins Tao raggiunge il X-). Nonostante non abbiamo utilizzato spit, ci siamo avventurati sugli strapiombi, così come nelle sezioni di placca (le placche di calcare che appaiono compatte sono solitamente abbastanza strutturate a ben vedere, in modo da permettere di inserire piccoli nut per sicurezza). Il mondo dell’arrampicata sportiva ha anche fatto sì che le sue tecniche di sviluppo fossero trasferite in montagna da alcuni alpinisti alle prime armi, a volte senza imporre alcuna restrizione. Ora ci sono alpinisti che, ai miei occhi in maniera discutibile, si calano dall’alto sulle pareti alpine, tirano fuori gli spit dall’imbragatura e li fissano, per poi dare un nome alla via dopo averla scalata dal basso.

Ci sono poi anche ottimi arrampicatori, come Beat Kammerlander, Alexander Huber, Stefan Glowacz e simili, che usano gli spit per aprire salite estremamente difficili, spesso lunghe e, in maniera tollerabile, che necessitano solo di rinvii per essere ripetute. Queste vie vengono aperte in zone di parete dove si può giudicare che sarebbe impossibile salire senza spit. Ma mai dire mai. La verità però è che queste vie sono oggetto di poca critica, e lo stesso si può dire di quando dei vecchi itinerari classici sono moderatamente “rinnovati” perché siano ripetuti in massa.

E poi ci sono gli scalatori (e ora vengo al dunque) che fanno le prime ascensioni dal basso, con la solita attrezzatura alpina, spit aggiuntivi e con passi su cliff salgono su pareti rocciose. Essi aiutano quella storia non solo a ripetersi, ma a complicarla con un altro fenomeno. Ai ripetitori nascerà la domanda: dove ha arrampicato in libera l’apritore? Fino a qui? Fino a lì? O anche nei prossimi due metri? O addirittura fino alla sosta dieci metri sopra di me? La salita diventa un gioco d’ipotesi o una guerra di fede. Quando feci l’osservazione a Toni Hiebeler, allora redattore capo della rivista Der Bergsteiger all’inizio degli anni ’80, dicendo che “noi tirolesi siamo molto critici nei confronti della prima salita di Igor Koller del Pesce, perché fino ad ora noi abbiamo aperto vie di pura arrampicata libera in Marmolada“, egli pubblicò questa nostra dichiarazione. Heinz Mariacher, che è stato il primo a ripetere il Pesce, aveva risposto pubblicamente in quel momento, dicendo “non sono d’accordo con queste critiche, perché è una grande via“. Successivamente, Heinz ha rivisto la sua opinione: “Quando penso allo sviluppo che c’è stato, devo guardare il Pesce in modo critico oggi. Vengono fatte prime ascensioni dove, ad esempio, si può leggere “un passo con cliff” nello schizzo del percorso, anche se testimoni oculari riferiscono che lo scalatore in testa ha progredito per l’intera lunghezza della corda con uso di cliff…“

Nuove vie sono state aperte ovunque nelle Alpi, soprattutto nelle Dolomiti, quasi tutte forando la roccia, un teatro di apertura a qualsiasi prezzo. Non voglio dire che queste vie siano semplici; lo sanno tutti, per esempio, che le nuove vie sulla Marmolada sono alpinistiche, dure e moralmente impegnative. Ma ci sono soldi a credito, cambiali, debiti che prima o poi devono essere pagati. Questo sviluppo distrugge totalmente le pareti. Non lascia più spazio a persone più brave che verranno e se la caveranno senza spit o ganci. Quelli il cui livello a vista è al nono o decimo grado di difficoltà sono già gli ingannati di oggi. E ho la visione che in un futuro non troppo lontano ci sarà un’ondata di alpinisti che si muoveranno in modo così ordinato e sicuro sulle rocce più difficili, che al momento non possiamo immaginarlo. Quando Gino Soldà e Umberto Conforto aprirono in tre giorni di duro lavoro, nel 1936, la famosa parete sud-ovest della Marmolada, che per decenni, senza eccezioni, richiese almeno uno o due bivacchi, e che fu ripetuta per la prima volta in inverno nel 1950 da Hermann Buhl e Kuno Rainer in due giorni di arrampicata, nessuno avrebbe pensato seriamente che io e Heinz Mariacher avremmo gestito la seconda salita invernale in sole quattro ore, nel febbraio 1982 (anche con tiri ghiacciati). E chi avrebbe creduto nel 1934/35, quando sulla Torre Trieste furono aperte due vie, che allora erano tra gli “ultimi problemi su roccia”, che Reinhard Schiestl ed io avremmo affrontato la parete alta 700 m, ben 40 anni dopo, salendo la via Carlesso-Sandri e scendendo la Cassin-Ratti in libera, una dopo l’altra, in sei o sette ore, anche se, secondo le guide delle Dolomiti, il bivacco era “obbligatorio” già per la sola Carlesso, a quel tempo? Proprio come sfacciati, gli alpinisti nella mia visione scaleranno il Pesce in salita e, in discesa, la via Weg im Leben zweierTaugenichts (creata da Wolfgang Müller e me nel 1983, appena a sinistra del Pesce), avanti e indietro in un giorno, e forse anche in condizioni invernali… E questi alpinisti diranno: è un peccato che i fanatici della conquista degli anni ’80, ’90 e 2000, che hanno scherzato qui con spit e scale di cliff, non abbiano lasciato una sola linea libera in questa parete meravigliosa. Lo spit è discutibile al di fuori del terreno dell’arrampicata sportiva, perché significa assassinio dell’impossibile. L’uso dei cliff, se non viene indirizzato solo per il fissaggio di dispositivi di sicurezza, ma anche per la progressione, crea confusione nei ripetitori, che sono costretti a capire quando e quanto salire in artificiale o in libera; è tornare all’era della tecnica con cliff e staffe, e costituisce anche un potenziale assassinio della verità.

Steps across the border – Senkrecht ins Tao (passi attraverso il confine verticale nel Tao) di Darshano Rieser e Walter Polidori

Già nel 1983/1984 Darshano Rieser e Ingo Knapp salivano quattro tiri in una sezione di parete ancora incontaminata, a sinistra della cosiddetta Pancia dell’elefante. A quel tempo erano già in grado di affrontare passaggi di arrampicata fino alla difficoltà di VIII grado e di alzare nettamente l’asticella del livello di arrampicata in Marmolada, ma non erano all’altezza del difficile tratto chiave che avevano trovato. Così, per non infrangere la loro etica di salita in libera, si erano calati in corda doppia. Nel 1992 erano in grado di scalare in libera il primo passaggio chiave, di X-, e continuare a salire su terreno vergine. Purtroppo, l’apertura era stata interrotta a causa di una caduta di Ingo Knapp, che si era rotto il tallone in un brutto volo.

Successivamente due alpinisti italiani avevano tentato di salire la via, senza rispetto per i due tirolesi e con uno stile discutibile, arrancando su quelle lunghezze che Darshano e Ingo avevano salito già in libera. Ma Darshano e Ingo non si arresero e continuarono, salendo su un terreno ancora più verticale. Come ricompensa avevano trovato un altro tiro di X-. Dopo un totale di dodici tiri l’opera d’arte era completata e l’11 ottobre 1995 gli era riuscita la prima salita rotpunkt di Steps across the border – Senkrecht ins Tao (X-). La prima via di decimo grado senza spit era terminata.

Arrampicata incredibilmente bella ed esposta sui buchetti della Marmolada, in parete compatta, a volte molto strapiombante.

È necessario avere nervi saldi, è una via moralmente esigente a causa dell’estrema esposizione ma è estremamente gratificante! Nessuno spit presente (viene chiesto di non usarne nessuno!). Si tratta di uno dei banchi di prova, per difficoltà e protezioni, più belli delle Alpi.

Nella guida italiana sulla Marmolada (Maurizio Giordani, Marmolada parete Sud) era chiamata erroneamente Terra incognita.

Itinerario La parte di parete verticale grigio-nera immediatamente a sinistra della Pancia dell’elefante, molto compatta, è dove si trova la via, senza spit, tra le due vie a spit Specchio di Sara, IX-, a sinistra e un progetto ceco a destra. Rispetto a quelle è più difficile.

Materiale Nessuno spit o chiodo a pressione, sono rimasti tutti i chiodi tradizionali (soste e intermedi) e i cordini in clessidra. Sono necessari alcuni dadi, friend, e cordini per rinnovare quelli presenti nelle clessidre.

Discesa Scendere in doppia sul percorso o uscire su un percorso a scelta nella parte superiore della parete.

Prima salita I primi salitori hanno rinunciato nel 1983, per via di un passaggio, che, a quel tempo, avrebbero potuto superare solo con arrampicata artificiale, e tornarono successivamente.

Ripetizioni 1) Much Mayr, Kurt Astner, 21 agosto 2001

Ripetizione parziale (era troppo tardi per gli ultimi tre tiri), rotpunkt. Tempo di arrampicata: 8h. Much Mayr conferma il grado di difficoltà dato dai primi salitori.

Citazione di Much: I due tiri chiave, specialmente quello superiore, mi hanno richiesto tutto psicologicamente e mi hanno portato al limite assoluto della mia prestazione. Non credo che una prima salita ancora più ardita, più esposta e impegnativa in questo stile (tutto in libera dal basso) sia attualmente possibile senza spit.

2) Hansjörg Auer, Thomas Scheiber, 19 maggio 2007 Ripetizione parziale (era troppo tardi per gli ultimi tiri), rotpunkt. Tempo di arrampicata: 8h.

Citazione di Hansjörg Auer: Senkrecht ins Tao è da considerare la via alpinistica per eccellenza. Un percorso di X grado, in cui non si trovano né spit né numerosi dispositivi intermedi di sicurezza. Ci vuole una buona dose di morale e fiducia in se stessi per percorrere questa linea impressionante.

3) Roberto Benvenuti e compagno, 8 agosto 2010 Ripetizione parziale, rotpunkt. A causa di un temporale imminente, la seconda parte del tiro chiave non è stata completata e gli ultimi tre tiri non sono stati fatti. In una conversazione con Heinz Mariacher, subito dopo la sua ripetizione, Benvenuti si dice estremamente impressionato, non solo per la via e la protezione senza uso di trapano, ma anche per il fatto che qualcosa del genere sia stata tentata per la prima volta nel 1995.

4) Alessandro Rudatis e compagno, estate 2010 Prima ripetizione completa, rotpunkt.

5) Manuel Bontempelli e C., estate 2017 Seconda ripetizione completa, rotpunkt.

6) Sara Avoscan e Omar Genuin, estate 2018 Terza ripetizione completa, rotpunkt. Per Sara: “la via è un sogno d’infanzia”. Sopra il suo letto, invece di un poster di una boy band, c’era appeso lo schizzo della via Steps across the border – Senkrecht ins Tao.

Senkrecht ins Tao (testi estratti da: gognablog.sherpa-gate.com)

Prem Darshano (al secolo Luggi Rieser) e Ingo Knapp, l’11 ottobre 1995 avevano realizzato il loro capolavoro personale: la via sulla parete sud della Marmolada, battezzata con il doppio nome Steps across the border – Senkrecht ins Tao (X-), che riuscì loro (in parte con l’amico Jesus Schrattenthaler) nel miglior stile possibile: salita in libera dal basso, senza spit, senza usare cliff per progressione o resting, senza precedente esplorazione dall’alto e senza pre-protezione tecnica. Rotpunkt della prima salita alpina al mondo nell’ordine del X grado di difficoltà senza spit. L’apertura della via è iniziata nel 1983 e terminata nel 1995; nell’anno in cui è stata salita, ai piedi c’erano le Mythos.

Da notare che invece del doppio nome di quella via, Maurizio Giordani, nelle edizioni precedenti della pubblicazione della guida Marmolada parete sud, aveva riportato erroneamente il nome Terra incognita. Diversi famosi alpinisti di alto livello hanno provato a raggiungere quel traguardo. Lo specialista in questo genere di salite Much Mayr e il suo compagno di cordata Kurt Astner c’erano quasi riusciti nel 2001, ma l’oscurità incombente li aveva costretti a fare a meno degli ultimi tre tiri. Peccato, in fin dei conti Much aveva superato entrambe le lunghezze chiave (quelle nell’ordine del X grado). La stessa cosa è successa nel 2007, a Thomas Scheiber e all’alpinista di punta Hansjörg Auer, che nel frattempo purtroppo ha perso la vita in una valanga, e nel 2010 all’alpinista italiano di punta Roberto Benvenuti e compagno. Tutti loro convennero, che questa via di calcare è probabilmente la più difficile via alpinistica al mondo senza uso di spit, e peraltro, confermando il decimo grado di difficoltà.

Darshano ha ricevuto, grazie a GognaBlog, quella che definisce una buona notizia: la sua difficile ascensione sulla Marmolada, è stata ripetuta completamente, e più volte (solo tre, a dire la verità), senza che lui lo sapesse:

• Alessandro Rudatis e compagno, nel 2010 (quindi 15 anni dopo la prima ascensione rotpunkt degli apritori) ha compiuto la seconda ascensione completa della via, rotpunkt.

• Manuel Bontempelli e C., ha fatto la terza ascensione completa, rotpunkt, nel 2017.

• La campionessa italiana di arrampicata Sara Avoscan, nell’anno 2018 ha fatto la quarta ascensione completa, con Omar Genuin, rotpunkt.

Molto belle le parole della Avoscan, pubblicate prima sulla sua pagina facebook e poi in un articolo su kletterblock.de:

“Crediamo che Rieser e Knapp abbiano dato un chiaro segnale di come l’alpinismo si stesse evolvendo già 25 anni fa, lasciandoci un’eredità di come rispettare la roccia, ma anche di come dovrebbe finire una salita, dando il giusto valore al rotpunkt e al lato sportivo dell’alpinismo. Nel 2019 spesso non ricordiamo questi valori, ma li consideriamo importanti e nelle ripetizioni li sentiamo; ci impegniamo a rispettarli, credendo che le vie vengano salite solo quando le facciamo rotpunkt“.

Per la seconda grande impresa di Prem Darshano, l’ormai leggendaria parete est del Lärmstangen nelle Alpi di Tux, la via Irrfahrt der Jugend (Strano viaggio detta giovinezza), anch’essa senza spit, Vili, 1982, con il fortissimo Paul Koller, ci sono voluti 29 anni per la prima ripetizione! A fare la seconda salita di questa famigerata via ci sono riusciti nel 2011 il vincitore assoluto della Coppa del Mondo del 2008 Jorg Verhoven, assieme all’austriaco campionissimo Marc Amann.

E per il terzo “monumento alpino” di Darshano (come lo chiamava l’autore della guida del Rofan, Hannes Salvenmoser), ovvero la via Gold Rush sulla parete nord del Rosskopf, con il leggendario run out di VIII grado, sono dovuti passare 30 anni prima della ripetizione. Darshano, con Hannes Eder e il genio dell’arrampicata Wolfgang Müller, ci erano riusciti nel 1982: e solo nel 2012 la cordata di Hansjörg Auer ed Elias Holzknecht è riuscita a ripetere Gold Rush integralmente, dall’inizio alla fine in un sol colpo, e per di più aprendo una variante di uscita di IX grado, anch’essa senza spit.

Note divertenti • Le foto mostrano chiaramente quali dinosauri di scarpette di arrampicata gli scalatori usassero a quel tempo (se qualcuno oggi si trovasse sui punti chiave di Senkrecht ins Tao dovrebbe rifletterci almeno un poco…!).

• Steps across the border – Senkrecht ins Tao corre tra due linee aperte con uso di spit: è un grado più difficile, eppure ne fa a meno. Conclusione: “funziona anche senza! Ma allora va bene così!” O, come direbbe Lynn Hill: “It goes, boys!” / “La va, ragazzi!”

PS: a proposito della via Senkrecht ins Tao, Heinz Mariacher ha scritto:

“[…] il mio caro amico e compagno di cordata Luggi Rieser, poi chiamato “Darshano”, insistette per 12 anni per finire il suo progetto su una delle zone più lisce della parete. Con Ingo Knapp, che si ruppe perfino un piede in un lungo volo durante uno dei tentativi, nel 1995 Darshano portò a termine Senkrecht ins Tao, probabilmente fino ad oggi la via più dura in Marmolada aperta in stile minimalistico (niente spit, niente artificiale)”.

Steps across the Border – Senkrecht ins Tao Apritori: Darshano Rieser e Ingo Knapp l’11 ottobre 1995 Difficoltà: X- Attrezzatura: chiodi classici Roccia: calcare Tipo di via: impegnativa, esigente Tempo di salita per gli apritori: 12 ore

(continua in https://gognablog.sherpa-gate.com/darshano-luggi-rieser-2/)

Senza dubbio personaggio forte e audace, ma sborone quasi fastidioso nella sua falsa modestia, ma grande arroganza. Dio benedica Piola.

Egregio signor Zorro, la informo che, in base alle vigenti disposizioni di guerra, è proibita la lettera “z” per i nomi propri. Pertanto la diffido. Da oggi lei dovrà presentarsi nel GognaBlog come Orro. Distinti saluti. 😉😉😉

Grazie mille per il vostro immenso lavoro di redazione e ricerca, è soltanto grazie a voi se sono a venuto a conoscenza del mio nuovo idolo 🙏 un’ispirazione profonda, segnali importanti lasciati alle nuove generazioni, un rispetto e un’etica diventate ormai una rarità ma che sempre porteranno insegnamenti a chi è disposto e pronto per recepirli. Infinita stima 🌈❤️

Sembra strano che qualche ditta produttrice di abbigliamento per montagna, dopo aver avuto dritte da qualche fashion-hunter, non abbia copiato il suo look. Si fa presto a passare da fantasiosi eccentrici a vedere in giro fotocopie  con tanto di logo ,per giunta senza averne le royalties.

In passato, come Domenico Modugno, mi sono domandato: “Chi mai sarà quell’uomo in frac?”. Adesso l’ho imparato: è un marziano.

  Un personaggio  di frontiera, esponenete della arrampicata tecnica  di esplorazione che cosi’ pochi o nessun adepto conta piu’. Lo incrociai una volta, lui slegato in frac giallo su una difficile classica dolomitica  .  Lo spirito che aleggiava  nei primi  anni 80 era quello, non solo sportivo quanto  esplorare  i limiti insieme tecnici  e mentali  per spingersi ‘beyond the border’. Altra cosa rispetto ai nuovi mattini. La sua interpretazione di quello spirito e’ unica e  irripetibile, una leggenda scritta sulla pietra.

Io, più modestamente, ho fatto Zylinderweg che sul chiave aveva 2 chiodi a pressione (che davano l’idea di reggere a malapena il peso del rinvio)…ho cigolato parecchio! E non riesco nemmeno a immaginare le vie “serie” di Darshano.   Un personaggio veramente affascinante.

Durante una delle prime ripetizioni di Mephisto al Sas dla Crusc, con Ornella Calza, dopo avere letto Settimo grado di Messner,  si capiva che stava succedendo qualcosa di rivoluzionario e che Rieser era uno dei protagonisti.

“copricasco di feltro” per ricerca web: gia’ ci sono , vedere immagini e ampia scelta…non a forma di cilindro. Nel mondo dello sci…il Telemark si presta alla creativita’!

“Ora ci sono alpinisti che, ai miei occhi in maniera discutibile, si calano dall’alto sulle pareti alpine, tirano fuori gli spit dall’imbragatura e li fissano, per poi dare un nome alla via dopo averla scalata dal basso.”(  forse  si tratta di allenamento a carpenteria ed edilizia acrobatica..o disgaggio pareti di roccia incombenti su strade ,un mestiere in espansione, magari il nome-via e le foto servono per marketing alla ditta ).Accanto all’eccelso estremo esiste il banale.Ultimamente anche un incidente  grave , caduta di schiena da 9 metri in palestra indoor a Treviso..pare per apparecchiatura di trattenuta automatica   con un guasto o difetto. Di sassi che hanno schiantato casco e causato commozione cerebrale, per fortuna superata, chissa’ quanti..almeno 2 ne conosco. Esistono cigni bianchi e cigni neri..chi arrampica senza e’ sempre piu’ bravo di chi chioda..pui ognuno si misura con se stesso..  meglio non aver ansia divulgativa  .Tra le righe dei commenti alle foto :il casco ricoperto di feltro..un’ideuzza da approfondire…o fa da isolante termico esterno col freddo , o bagnato di acqua   tiene il contenuto al fresco per il calore latente di vaporizzazione.Idea stramba  ma in tono col Personaggio

Semplicemente fantastico, il sogno fatto realtà. L’alpinismo, o almeno l’arrampicata, come dovrebbe essere. Lo accettino i piantatori di spit, seriali o meno, che ci sarà sempre qualcuno che sfaterà l’idea che “senza spit è impossibile”. E se così non fosse, imparino a lasciare porzioni di pareti impossibili da scalare, evitando di marchiare la roccia con la loro ambizione e la loro incapacità. A prescindere dal grado che scalano. Uomini come questi, piaccia o meno la loro (apparente) irriverenza, sono l’antidoto naturale alla banalizzazione dell’arrampicata introdotta dall’uso dei chiodi a pressione e peggiorata con il pretestuoso uso dello spit che parte dal presupposto che senza di esso non ci sarebbe più progresso. E’ vero solo il contrario, e la rilettura effettuata da Mariacher della leggendaria ma “compromessa” impresa del Pesce lo indica chiaramente. Lunga vita all’arrampicata libera, libera soprattutto dalla falsità della modifica del terreno di gioco

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